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Street art a Roma: i murales al vecchio manicomio di Santa Maria della pietà

Nel quartiere di Montemario, nella zona nord di Roma si nascondono numerose opere di street art per lo più ignorate. Fanno parte del progetto Caleidoscopio nato per riqualificare gli spazi che fino al 1999 hanno ospitato il più grande manicomio d’Europa, quello di Santa Maria della Pietà.
Oggi questo complesso, immerso in un grande parco di 130 ettari è sede di uffici del comune e ambulatori della Asl.

Un po’ di storia

Il manicomio fu inaugurato dal re Vittorio Emanuele III il 31 Maggio del 1914; da subito fu soprannominato dai romani “città dei matti”.

Già, perché immersa in questo immenso parco con i suoi 36 padiglioni, viveva un’intera città; c’erano più di 1000 posti letto e due aree separate per i maschi e le femmine; i malati erano divisi nei diversi padiglioni a seconda del loro disturbo: Osservazione, Infermeria, Tranquilli, Sudici, Semi agitati, Agitati, Prosciolti, Sorvegliati. Più in periferia c’erano i padiglioni per i contagiosi e i tubercolotici.
All’ingresso un imponente edificio che ospitava gli uffici, ma anche la farmacia, la biblioteca e un laboratorio analisi.
Nel resto del parco sorgevano tutti i servizi necessari: la cucina, la lavanderia, il forno, il macellaio, una chiesa, un’officina, la camera per le suore, la camera mortuaria.

Nel 1978 con l’approvazione della Legge 180, detta comunemente Legge Basaglia, i manicomi furono chiusi, ma soprattutto i malati psichiatrici riacquistarono la loro dignità.
Il manicomio di Santa Maria della Pietà chiuderà definitivamente solo nel 1999.

Il parco

Il parco non è mai troppo frequentato, se non dai residenti, per cui vale la pena fare una passeggiata anche solo per rilassarsi all’ombra degli altissimi alberi. Qui vivono infatti tantissime varietà di alberi e piante tra cui querce sempreverdi, lecci, pini, cipressi, cedri ed eucalipti.

All’ingresso si incontra il maestoso padiglione centrale dove campeggia ancora la scritta Manicomio della provincia; piano piano che ci si addentra nel parco tutto si fa più silenzioso e più verde.
Gli edifici restaurati lasciano il posto ai padiglioni abbandonati.

Qui il colore delle pareti è scrostato, i vetri delle finestre sono rotti, il legno delle porte usurato dall’umidità e dal tempo.
Sbirciando all’interno si possono osservare angoli di quelle che erano una volta le camere di degenza.
Può sembrare una visita un po’ lugubre, ma in realtà l’unione tra il verde delle piante che spesso hanno preso il sopravvento e il degrado degli edifici dona a questi angoli un aspetto decadente che da sempre mi affascina.
Amo gli edifici abbandonati, o anche semplicemente un po’ vecchi, si possono immaginare le loro storie e donano un’immagine vissuta.

Ma nonostante la passeggiata sia rilassante, mentre cammino per i viali alberati e osservo gli edifici abbandonati la mente non può non pensare a cosa accadesse dietro quelle finestre.
Un luogo così bello dove i malati (o coloro che erano ritenuti tali, perché spesso bastava una piccola stranezza a farti internare) subivano trattamenti inimmaginabili; elettroshock, lobotomie, camicie di forza e sedativi.

La malattia mentale faceva paura ed era socialmente inaccettabile; bisognava nasconderla, tenerla ben chiusa dietro inferriate e lucchetti.

Mi sono ritrovata a guardare dietro un cancello di uno degli edifici e quasi mi sembrava di sentire le voci, i lamenti, forse le urla dei malati.

Per fortuna si sta cercando di dare nuova vita al parco; oggi ospita il museo della mente, un orto, un parco-giochi per bambini e anche un percorso fitness.

Street art a Santa Maria della Pietà: il progetto Caleidoscopio

Parte del progetto di riqualificazione del complesso di Santa Maria della Pietà consiste nel dare spazio a diverse opere di street art di circa 28 artisti, che fanno parte del progetto Caleidoscopio.

Il progetto nasce nel 2015 con l’intento di ridare vita a questi vecchi edifici una volta sede di sofferenza.

Camminando lungo i vialetti del parco ogni tanto se ne incontra qualcuno, alcuni più piccoli, altri più grandi.

Street art a Roma

L’opera di maggiore impatto, che colpisce come un pugno nello stomaco, è quella di Luis Gomez de Teran intitolata “Le cose che non si vedono”. Occupa tutte le due grandi facciate dell’ex Padiglione 6 che ora ospita il museo della Mente, che purtroppo è aperto solo la mattina e fino al venerdì e che quindi non ho potuto visitare, ma mi piacerebbe molto farlo.

Street art a Roma
Street art a Roma

L’opera mostra con potenza straordinaria la malattia mentale, i “pazzi”; sono delle enormi figure angosciate, che si tappano le orecchie perché delle voci gli sussurrano all’orecchio. Su un’altra facciata però le figure sono più tranquille, quasi serene, alcune di loro sono rappresentate con dei pennelli, quasi a voler significare che quella che chiamiamo follia a volte è solo genialità.

Street art a Roma

Continuando a camminare si incontrano molti altri murales che, ciascuno in modo diverso, fanno riflettere su varie sfaccettature della condizione umana; c’è per esempio quello di Carlo Lommi dedicato ai migranti, quello dedicato alla genialità di Antonio Russo, quello sulla volontà di avere un mondo migliore per i bambini di Tina Loiodice.

Se volete trovarli tutti vi consiglio questa mappa della street art di Muracci Nostri.

Roma nasconde perle dove meno te le aspetteresti, e nella calma di questo immenso parco nella zona nord non ci si aspetta di trovare così tante opere di street art. Spero davvero che il lavoro di riqualificazione dell’ex manicomio vada avanti, sarebbe davvero un peccato non utilizzare i tantissimi spazi a disposizione.

E voi ci siete mai stati? Siete incuriositi dal vedere questi bellissimi murales? Fatemelo sapere nei commenti e condividete l’articolo così che altri vengano a conoscenza di questo posto assolutamente da non abbandonare!

Amo il tè caldo, il profumo dei dolci alla cannella e le luci di Natale. Immagino spesso la vita nel passato e sogno ad occhi aperti diverse vite future, cercando di imparare a godere del presente. Adoro alla follia l'Estremo Oriente e le sue storie. Penso spesso che vorrei vivere in Giappone. Credo che l'amore e la gentilezza possano cambiare il mondo.

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